We have rights – breve storia di un viaggio intenso
Partiti. Partiti e tornati come ogni estate o quasi.
Dopo un viaggio, breve o lungo, lontano o vicino che sia, cosa rimane a parte la voglia di non tornare alla solita routine?
I racconti del tragitto avvincente, che d’estate diventa tale anche se non lo è; le minuziose descrizioni dei musei, dei mercatini, delle chiese, delle case, delle piazze, delle onde, delle vette e dei parchi, dei paesaggi emozionanti ed espansivi per sguardo, pensieri e senso di vita; gli eccessi con il cibo locale, le notti brave, le conquiste e lo shopping. Rimangono le foto, quelle obsolete già dopo dieci like: scattate e postate su Instagram e Facebook seduta stante hanno incastonato di momenti topici il perimetro della vacanza.
Alle parole invece il compito di fotografare e condividere quello per cui gli occhi non bastano: le esperienze, le emozioni, gli apprendimenti, le consapevolezze, le curiosità, le dissonanze, i riferimenti culturali, le cicatrici, le risate, gli scambi fulminei di intese, gli abbracci, i cambiamenti. In breve: le persone e le storie di vita.
We have right, now let’s be human. Un corso non formale sui diritti umani via teatro sotto forma di corso di formazione. Un paesino di provincia in Romania, Ramnicu Sarat, grande quasi come Rivoli. 27 partecipanti diversi per età, provenienza, formazione, interessi e cultura, variegati alla stracciatella e malaga insieme, variopinti e sfumati come più arcobaleni accostati.
Macedonia, Romania, Ucraina, BosniaErzegovina, Italia, Turchia eGeorgia che comunicano in un inglese fluente ma declinato secondo apprendimento e accento. Persone nuove, spazi e luoghi sconosciuti, attività imprevedibili per cui non sempre si è preparati ma non per questo inadatti.
Nessun riferimento ordinario. Nel tempo di un low cost archiviate strutture interpretative e certezze comportamentali. Liberi di essere nessuno e se stessi contemporaneamente. Pieni di energia, curiosità, voglia di imparare e di conoscere. Vuoti (a perdere) da riempire. Ogni sguardo, ogni gesto, ogni tentativo di espressione verbale hanno trovato terreno fertile per uno scambio intenso ed empatico tra tutti. Défaillance e battute glissate sono state capaci di generare inattese e fragorose risate anche nelle attività più impegnate, rendendole così più incisive e memorabili. Volti e sorrisi a tratti spontanei a tratti disforici, dietro i quali si scorgevano biografie tortuose che la Storia recente, il macrosistema, ha intriso di difficoltà ma anche di determinazione, senso di giustizia sociale e umiltà. L’impatto delle guerre nell’ex Jugoslavia, in Georgia, in Ucraina e il Golpe in Turchia ha eroso la spensieratezza delle vite dei ragazzi provenienti da questi Paesi, quella leggerezza consolidata invece negli occhi di ragazzi provenienti da altri luoghi meno conflittuali seppur controversi come l’Italia. In un contesto dove contano le idee e le persone, e dove le diversità sono risorse, ha preso forma un confronto verace e dinamico tra le specifiche esperienze dei paesi partecipanti su flussi migratori, tensioni politiche, diritti umani, tolleranza e inclusione sociale con intensità e con quel pizzico di ironia che, si sa, sostiene sempre.
Un senso di cittadinanza europea, anzi globale, è stato il fattore comune e continua ad esserlo. Persone consapevoli che con tenacia e freschezza vivono dentro questi valori e vogliono diffonderli.
Cosa ho imparato? Nuovi metodi di educazione non-formale come theatre shadowing, pantomima, e forum theatre in cui tutti, anche se profani, hanno potuto sperimentarsi.
Cosa mi è piaciuto di più? Sentirmi nuda, lasciarmi colpire e stupire da ogni storia di vita, da ogni persona e da ogni novità, da ogni goccia versata istante per istante; sperimentare, sbagliare, imparare, mettermi alla prova e confrontarmi e averlo fatto ridendo.
Cosa mi porto a casa? La voglia di tornare alla solita routine, colorarla di tinte nuove e condividerle.
Dopo un viaggio, breve o lungo, lontano o vicino che sia, che cosa si può desiderare di più?
Scambi internazionali: opportunità da cogliere di cui noi possiamo essere testimoni.
Prima non c’erano. Ogni generazione ha avuto sfide, rischi ed vantaggi peculiari del momento storico in cui ha vissuto. Per qualcuno guerre e ricostruzioni; per altri movimenti sociali e boom economico; per altri sovraesposizione informativa, disorientamento ma anche strumenti ed opportunità come i progetti di mobilità internazionale. Allora forza gente, cogliamo il lato positivo della destrutturazione delle certezze come fonte di cambiamento, apprendimento e inclusione. Non servono grandi opere. Bastano le esperienze positive, intense, anche divertenti e i buoni esempi. Cerchiamoli, seguiamoli, diventiamoli, scambiamoli!
Elisa Floredan